Scherzo di Carnevali

Roberto Beccantini16 aprile 2023

Comincio dal pianto di Fagioli. Un errore, un gol dell’avversario (Defrel, bravo a girarsi e saettare). Capita. Pensi a Mandela: «Non perdo mai, vinco o imparo». E se gli chiediamo tanto, forse troppo, è perché lo stimiamo. Ha 22 anni, il mondo in mano. Avrebbe bisogno di una guida, compito che spesso tocca a lui. Non molli.

E adesso l’altro pianto: la Juventus. C’era Sacchi, al Mapei. Immagino cosa non avrà cristonato, dentro di sé. La forza delle idee contro l’idea delle forze. Il giuoco contro le giocate. L’intensità contro la vanità. Ha vinto due volte: in campo e in tribuna. Birichino.

Il Sassuolo non ha le beghe di Madama (e nemmeno Berardi, però). Diranno: ha risolto un episodio. Quasi uno scherzo di Carnevali (l’amministratore delegato del club), compagno di merende dell’ex politburo juventino. Di solito, ci si aspetta che il Sassuolo si scansi. Questa volta si è scansata la Juventus. Primo tempo di noia mortale, ripresa più avventurosa. Allegri ha buttato nella mischia un altro bebé, Barbieri, affidandogli quella vespa di Laurentié. Risulterà tra i meno peggio. Parte, Max, con una formazione che poi sistematicamente smonta. Un miracolo di Perin (su testa di Defrel), uno di Consigli (su crapa di Rabiot), un auto-palo di Gatti, un’occasione di Di Maria, entrato come Chiesa, Caudrado, eccetera: molto vegana, la cronaca.

C’era Paredes titolare. Per carità. C’erano due centravanti, Vlahovic e Milik, fuori dal gioco e spesso in fuorigioco. Il palleggio di Maxime Lopez, le sgommate di Frattesi, la difesa armonica e ormonica hanno onorato il coraggio di Dionisi. Certo, l’Europa pesa: le scorte di Milan e Napoli hanno pareggiato, l’Inter ha perso in casa. Unica eccezione, per ora, la Roma di Mou. Per la Juventus, è il secondo k.o. di fila. Legati, quello con la Lazio a questo, da un avvio timido e, dopo la frittata, tutti avanti. Persino Pogba.

Quel confine rosso(nero)

Roberto Beccantini13 aprile 2023

La dogana è il gol di Bennacer. Milan-Napoli è stata partita ruspante ed equilibrata, lontana anni luce dal macello del 2 aprile. Quarti di Champions: decisione martedì al Maradona, non si scappa. Senza Kim e Anguissa, squalificati; e chissà se con Osimhen o almeno Simeone. «Scherzi» del Diavolo.

Un pareggio avrebbe riassunto meglio le «stagioni» dell’ordalia, ma il calcio è questo: se fosse diverso, che gusto ci sarebbe? Scritto di un arbitro mediocre, per venti minuti solo Napoli. L’occasionissima di Kvara, sventata sulla linea da colui che l’aveva propiziata, Krunic, e un paio di missili (Anguissa, Zielinski) spolverati da Maignan. Pioggia, ritmo, tifo: il massimo.

La squadra di Spalletti ricorda un coltello con la lama piatta, dal fodero intarsiato d’avorio; il Milan di Pioli, un pugno pronto ad aprirsi. Gira, la sfida, sul coast to coast di un Leao finalmente Leao. Sentinelle sorprese, palla a fil di palo. Era il 25’. Lobotka, Anguissa e Zielinski, fin lì domatori di belve mansuete, colgono in quella nuvola di polvere l’eco di tartari incombenti. Si spaventano. Pressing non più feroce, Kvara sempre raddoppiato, Elmas molto «falso» e poco «nueve».

E’ Brahim Diaz, uscito in slalom fra i paletti di Lobotka e Mario Rui, a suggerire la ripartenza del destino. Tocco a Leao e da costui all’arrembante Bennacer. Lecca imprendibile. Via sull’onda, una mezza occasione di Tonali e la traversona di Kjaer.
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Inter-City

Roberto Beccantini11 aprile 2023

Il calcio sarà anche mobile qual penna al vento, la penna di noi giornalisti, ma spiegare come l’antiquario Inzaghi abbia ridicolizzato il modernissimo Schmidt non è da tutti: a cominciare dal sottoscritto. Era il Benfica che, pur sconfitto venerdì dal Porto, aveva bombardato la Juventus, pareggiato due volte con il Paris Saint-Qatar, demolito il Maccabi Haifa e, negli ottavi, il Club Brugge. Era l’Inter precipitata al quinto posto, un punto nelle ultime quattro partite, tristissima nella mira e tribolatissima domatrice del Porto, lo spogliatoio screpolato dagli umori, dalle scelte, dal mercato. Ebbene: 0 a 2. Senza se e senza ma. Con la semifinale di Champions (sempre più italiana, a questo punto) in tasca.

Ho rivisto l’Inter del Camp Nou, capace di ribellarsi ai propri limiti e alle proprie tremarelle, spesso padrona, schiava non più che in due o tre mischie: e comunque, con Onana sempre sul pezzo. Può darsi che le aquile avessero volato troppo alto, e per questo le ali fossero fiacche, può essere tutto: tranne, l’Inter. Non solo i gol: di Barella, di testa su cross di Bastoni, da sinistra a destra; di Lukaku, su rigore, per mani-comio di Joao Mario. Più varie ed eventuali. Pauroso era il Benfica, prolisso e sterile; non l’Inter, coraggiosa e non contemplativa. Ha avuto dai panchinari Lukaku e Correa più di quanto non le avessero dato i titolari, Dzeko e Lau-toro. Ha giocato di squadra, inflessibile, pronta a cogliere l’attimo: o di scacciarlo, nei periodi di relativa emergenza.

Migliori in campo: Barella, Mkhitaryan, Bastoni. Ma andrebbero citati tutti, da Darmian a Brozovic. In Europa è diverso, evidentemente. Inzaghino, immagino, sarà tornato il mago di Riad, un po’ più lontano dall’esonero. A conferma che, spesso, sono i giocatori a determinare fortune e sfortune dei tecnici. Con la testa del «da Luz», dove sarebbero in classifica?
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